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mercoledì 3 ottobre 2018

CANNELLONI, HOMEMADE con spinaci e ricotta



Trovare notizie sulle origini dei cannelloni non è stato per niente facile, anzi direi che a parte le solite poche righe in cui si dice che risulta essere ricetta “antichissima”, ma antica quanto non si sa, è praticamente difficile sapere in realtà quando e come siano stati inventati.
Sono da generazioni uno dei piatti delle feste un po’ in tutta Italia, al nord nascono con la stessa sfoglia all’uovo delle lasagne, al sud viene usata la farina di semola di grano duro. Si fanno ripieni di “magro” con ricotta e spinaci, o belli ricchi con macinato di carne! Si ricoprono di sughi, ragù, salse e besciamelle, e non deludono mai nessuno.
Tornando alle origini di questa pasta ci sono dei cenni “relativamente” antichi nella prima metà dell’800 tramite un cuoco aretino, tale Giobatta Magi, che cita un “timballo di cannelloni”, ma già Vincenzo Corrado, nel suo ”Cuoco Galante” presenta qualcosa che si avvicina molto al cannellone come lo conosciamo noi, anche se in realtà si tratta di un grosso pacchero pre lessato, farcito con  carne e tartufi, terminato di cuocere in un sugo di carne.
Poi ho trovato una vera chicca**, gradevole da leggere, dove addirittura si parla di chi li ha realmente creati e dove, ma è una storia un po’ lunga, quindi vi lascio prima la ricetta che ho fatto io, seguendo un po’ i gusti di famiglia, e poi se vi va e siete curiosi avrete una bella storia, che non so se sia vera o no, ma è piacevolissima!!!



CANNELLONI AL FORNO

Per la pasta:
3 uova
300 g di farina debole

Per il ripieno:
150 g di mortadella
400 g di ricotta fresca
150 g di Parmigiano Reggiano grattugiato
1 uovo
200 g di spinaci lessati e strizzati
sale
pepe
noce moscata

Per il condimento:

Parmigiano Reggiano grattugiato

Per la besciamella lenta:

500 ml di latte fresco intero
40 g di burro
30 g di farina
sale
noce moscata
 
Fate fondere il burro a fuoco basso. Versate la farina, mescolate fino ad ottenere una crema liscia. Appena il composto accenna a schiumare (non deve prendere colore), versate 3/4  del latte. Raggiunta l’ebollizione, quando il composto comincia ad ispessirsi aggiungete il resto del latte, salate e pepate e aggiungete una grattugiata di noce moscata. Mescolate senza fermarvi. Tempo di cottura circa 15 minuti.
Dopo aver impastato e lavorato l’impasto di uova e farina, stendete la sfoglia sottile. Tagliate dei quadrati di circa 10 cm per lato.


Preparate il ripieno, mescolando l’uovo, la ricotta, il Parmigiano Reggiano, la mortadella tritata finemente, gli spinaci, il sale, il pepe e la noce moscata. Inserite tutto in una sac-à-poche.
Sbollentate pochi secondi in acqua leggermente salata i quadrati di sfoglia, stendeteli su un canovaccio di cotone.





Farcite da un lato i cannelloni, lasciando un paio di centimetri liberi, per aiutarvi nella chiusura. Arrotolate i cannelloni senza pressare.
Velate il fondo di una pirofila con la besciamella, sistemate i cannelloni uno di fianco all’altro e coprite con altra besciamella, fate un bello strato di ragù e spolverate con il Parmigiano. Gratinate in forno per circa 15 minuti a 180°C.

Serviteli caldi e buon appetito.



Alle ore tredici di un
giorno di agosto del 1924, quando il sole spaccava le pietre e tutto il paese
sembrava assopito in un’immensa colata di luce abbagliante che il riflesso del
mare trasformava in una nebbiolina evanescente, improvvisamente le campane della
chiesa del convento, fondato da San Francesco nel 1222, cominciarono a suonare
a  distesa, come nel giorno di Pasqua, al
momento della Resurrezione. Amalfi si scosse di colpo. Quale bella notizia
recava quel suono gioioso? Chi era per strada si voltò a guardare la torre del
campanile del convento come se dagli archi, oltre al dondolare del battaglio
contro la campana, dovesse venir fuori anche il motivo di quel richiamo
festoso. I sagrestani del Duomo, di San Biagio e dello Spirito Santo credettero
a un evento straordinario e, senza nemmeno chiedersi la ragione di
quell’inatteso scampanio solenne, corsero anch’essi a suonare. Ormai era
diventato un giorno di festa. Ma che festa? Dai balconi la gente se lo
chiedeva, ma nessuno sapeva rispondere. Si vedevano preti trafelati e
inconsapevoli correre alle loro chiese per conoscere la lieta novella.
L’annuncio di un concilio? La nomina di un vescovo? Solo al vecchio convento
sapevano. La chiesa del convento è rimasta tale e quale com’era, come
la volle il poverello d’Assisi, che ad Amalfi restò due anni col suo compagno
fra’ Bernardo di Chiaravalle. Edificò il convento per l’abitazione dei monaci e
un chiostro bellissimo. Poi ci furono le varie espropriazioni e, in seguito al
concordato di Terracina, dei 1818, tra i Borboni e la Chiesa, il convento cessò
come casa religiosa e passò in proprietà alla parrocchia di Santa Maria Assunta
della frazione Pastena di Amalfi. Ed è tuttora di sua esclusiva proprietà,
nonostante le cause intentate dai frati conventuali.La parrocchia dette il
convento in affitto alla famiglia Barbaro con l’obbligo della cura della chiesa
annessa: messa alla domenica, funzioni religiose secondo le regole episcopali,
il rosario all’ora dei vespri, la nomina di un cappellano, tutto come se ci
fossero ancora i frati. I Barbaro, gente devota, hanno mantenuto sempre fede ai
patti. Del convento, prima fecero una locanda, poi un albergo, l’Hòtel Luna.
Ancora oggi, dopo più di un secolo e mezzo, locatore e affittuario non sono
cambiati. L’albergo, che ha anche un’ala nuova modernissima, conserva nella
parte vecchia l’antica struttura. Le celle, hanno le
stesse porte di legno di allora, con i piccoli battenti e il finestrino a grata
per vedere chi bussa; la chiave della serratura è la medesima di un tempo: di
ferro, lunga, nera e rozza. Le camere sono monacali nel senso più stretto della
parola, allineate su due piani: uno a livello del chiostro, l’altro sotto.
Alla sera e alla notte solo una luce molto fioca e schermata consente di
orientarsi in quella semioscurità quieta e mistica. Un silenzio fatto di pace e
di solitudine sembra scendere dal cielo: quando è stellato e c’è la luna piena,
le bifore del porticato appaiono maestose e insieme lontane mille anni dal rumore
e dalla violenza delle città, suscitando un bisogno di bene e talvolta, in
quella beatitudine, un senso di rimorso. Ma anche passioni d’amore così forti
da sembrare irripetibili. Un vero incantesimo. I forestieri ne restano rapiti,
muovendosi con circospezione, come se appartenessero a un ordine religioso.
Incontrandosi si salutano con inchini appena accennati, parlano bisbigliando,
chiudono le porte con delicatezza da certosino. I servizi, i bagni, il
guardaroba sono ricavati nella cella attigua così che, se prima, ai due lati
del chiostro c’erano ventiquattro monaci in ventiquattro celle, oggi ci sono
dodici celle sopra e dodici al piano inferiore. L’arredamento rispetta la
tradizione: nelle celle tutto è rimasto povero ma pacatamente elegante: dov’era
il giaciglio con ai due l’inginocchiatoio e la sedia, c’è un letto più ampio
che va quasi da un muro all’altro, lindo e molto sobrio, se così può dirsi. Ai
due piedi due poltroncine e, contro la parete, un tavolinetto cosiddetto
“fratino”. Da un finestra piccola con le 
imposte dipinte in
verde, si vede un mare immenso, da Capo d’Orso a Capri, il golfo di Salerno e
il golfo di Napoli, i Faraglioni e nelle giornate chiare e splendenti perfino
la Sardegna, dicono i marinai. Certo i monaci sapevano vivere e San Francesco
sapeva scegliere i luoghi dei conventi. Ma torniamo alle campane. Amalfi è
tutta spalancata sul mare, cinta e chiusa alle spalle da una catena di monti
che ai tempi del suo splendore repubblicano ne taceva una fortezza imprendibile
da parte dei corsari nelle loro varie incursioni. A una estremità del paese,
quella di destra, con la torre saracena, c’è l’Hòtel Luna; mentre all’estremità
sinistra, posto in alto c’è il famoso Cappuccini, l’albergo ultrasecolare di
fama mondiale. Convento anch’esso, con chiostro e celle, un lungo viale con
colonnato a reggere il pergolato che fa da tetto con le foglie delle viti e,
nella stagione giusta, i grappoli d’uva. Ai bordi, rampicanti di bouganvillee e
gerani. Qui i monaci cappuccini, passeggiando, recitavano preghiere, leggevano
il breviario e ringraziavano il Signore per quella vita serafica e piacevole.
Anche il Cappuccini, dal 1826, fu dato alla famiglia Vozzi, che ancora oggi ne
ha mantenuto lo stile. La sala da pranzo è il vecchio refettorio, e all’ora dei
pasti suona la vecchia campanella dei frati. E’ sospeso sul mare, in una grande
cornice verde, in mezzo ad un bosco rigoglioso, fra aranceti, rose e aiuole di
begonie. Fino a pochi anni fa, prima che vi fossero istallati gli ascensori, vi
si accedeva da una rampa pedonale dove le persone anziane salivano in
portantina. E qui comincia lo `spettacolo. L’ultimo dei Vozzi – don Alfredo – un
uomo alto, magro, biondo ancora in tarda età, dal portamento signorile, vestito
con una eleganza sobria e un po’ négligée, pieno di charme, poliglotta,
somigliante per pietà a Lawrence d’Arabia e per metà al Kaiser, era amico di
re, di poeti, di scienziati e di artisti. Oggi si direbbe un gran manager:
niente affatto, solo uno stravagante padrone di casa, pieno di fascino. Tale
era la simpatia che ispirava che, per un Capodanno, si dettero convegno quattro
re che aspettarono la mezzanotte del 31 dicembre insieme a Salvatore Di Giacomo
e Guglielmo Marconi, questi ultimi ospiti abituali di don Alfredo. Una reggia e
un’accademia di arte e di scienza? Tutt’altro. Solo una casa di amici. Don
Alfredo aveva qualche disturbo di vecchiaia, ma essendo sempre stato una
quercia, insofferente del più piccolo fastidio, era diventato nevrastenico. Si
considerava malato, ma non lo era.  Una
civetteria da vecchio signore. Passava molte ore a letto e quando si alzava
sedeva sotto il pergolato a ricevere gli ospiti. Fumava rabbiosamente sigari
toscani, ma  più  che
fumare, dopo  averli  accesi, li
stritolava  coi denti e li buttava
via. Per oltre trent’anni non era mai sceso in paese. Per gli amalfitani era un
mito. Aveva molte stranezze: ogni sera mandava al capitano del piroscafo che
faceva servizio per Napoli, un dolce o un altro piatto squisito perché, al
mattino alle sette, alla partenza del vapore, non suonasse la sirena che
avrebbe svegliato i clienti. Una piccola innocente corruzione e una riguardosa
attenzione. Quando invitava qualcuno a colazione a un certo punto, stufo di una
pietanza, diceva: “basta”. Ed esigeva che anche il commensale
smettesse. Per sé non voleva il cambio dei piatti, ma mangiava le varie
pietanze in un piatto solo, ammonendo ogni volta il cameriere: “Alla
borbonica”. Cosa c’entravano i Barboni non si sa. Come se quella dinastia
avesse avuto la stessa strana abitudine. Non usava il coltello, ma uri
temperino che teneva in tasca. Fisime e nevrastenie messe insieme. Però quando
vedeva che, dalle rampe, salivano a piedi o in portantina “nuovi
arrivi”, si rinvigoriva e, pur facendosi sorreggere (per modo di dire) dai
due fedeli facchini – Andrea Torre e Giuseppe Dipino – si metteva in cima alle
scale a ricevere gli ospiti. Qui cominciava la grande scena. Bello, dritto e
solenne, scortato dai due inservienti in tenuta turchina, don Alfredo, con uno
scialletto viola sulle spalle, accoglieva i forestieri. Dopo aver accennato un
inchino, diceva: “Un vecchio infermo si alza dal proprio letto per dirvi
bene arrivati ai Cappuccini”. A quelle magiche parole, l’amore scoppiava
improvviso e i clienti, anziché un giorno, rimanevano mesi e tornavano negli
anni seguenti. Altro che “pubbliche relazioni”: questo era cuore e
intelligenza. E la storia della campana? Finalmente ci siamo arrivati. I
rapporti tra i due alberghi – l’Hòtel Luna e l’Hòtel Cappuccini – erano di
reciproco rispetto e di cavalleresca lealtà. Tutte e due le
“dinastie” alberghiere – i Barbaro del Luna e i Vozzi dei Cappuccini
– avevano mantenuto una regola a cui non vennero mai meno. Quando la cucina di
uno dei due alberghi inventava un piatto nuovo, il primo assaggio e il giudizio
spettavano all’altro. Così avvenne quel giorno dell’agosto 1924. Lo chef,
Salvatore Coletta, dopo vari esperimenti mantenuti segreti, approntò un piatto
che presentò personalmente a don Alfredo. Vi aveva lavorato per mesi e gli aveva
dato anche un nome: cannelloni. Allineati nel piatto di portata, avevano un
profumo sublime e colori vivaci. Don Alfredo ne assaggiò uno, sgranò gli occhi
e disse solo: “Bravo, Salvatore, per me è una cosa divina. Occorre però il
giudizio dell’Hòtel luna. Mandateli subito a don Andrea Barbaro”. Il messo partì di volata. Don Andrea, comunemente chiamato “il padrone della
Luna”, era un celebre buongustaio: pesava centotrenta chili. Assaggiò,
dette un urlo, spazzò via tutto il piatto voracemente e alzatosi, col
tovagliolo ancora appuntato al collo, detto ordine di suonare a gloria le
campane della chiesa del convento. Per lui l’invenzione dei cannelloni era un
evento straordinario da festeggiare, una grande conquista culinaria degna di
essere comunicata al popolo. Il sagrestano lo guardò timido. Enorme, con voce
perentoria, don Andrea non volle saper storie: “Corri.’ disse “fai
presto, non fare il fesso. Lo sai che oggi è nato un grande piatto?”. Il
brav’uomo obbedì. Don Andrea era esultante come la notte di Natale per la
nascita del Bambino Gesù. Lo scampanio improvviso giunse ai Cappuccini. Don
Alfredo notò sulla terrazza dell’Hotel Luna uno strano sventolio. Prese il
binocolo e vide: era tutto il personale del Luna che taceva festa sventolando i
tovaglioli. L’onore delle armi al concorrente vincitore. Intanto tutte le
campane di Amalfi continuavano a suonare. Certo, dopo l’invenzione delle
bussola quella dei cannelloni è l’altro vanto della città. A Londra, a New
York, nel mondo li mangiano ma non ne conoscono la storia, forse nemmeno in
Italia. Salvatore Coletta resta un signore sconosciuto che non c’è più. Dio
l’abbia in gloria.”.





venerdì 14 ottobre 2011

"MY WAY" PASTA AL FORNO

                                                


                                             Scroll down for English version

Ieri ve l’avevo promesso…. Oggi vi avrei postato quello che ci ho fatto con il ragù qua sotto!!!

Ma ovviamente una bella pasta al forno!!!  Sabato ho preparato 2 kg di pasta per la scampagnata di domenica scorsa con un gruppo di amici simpaticcimi, c’è anche scappato che abbiamo deciso di fare l’abbonamento per il Cabaret, oltre al rinnovo di quello del Teatro!!!
E domenica sera ne ho preparata un altro kg per l’incontro con le mie amiche tortiste….ma questa è un’altra storia!
Inutile dire che tra sabato ( che ho fatto la cena messicana qui da noi), domenica con la scampagnata e lunedì la giornata con le amiche…. Abbiamo mangiato da non poterne più…ma era tutto troppo buono….non potevamo resistere!!!

Ah ..BUON WEEKEND…. Noi siamo di matrimonio!!!!

PASTA AL FORNO (MY WAY)

 1 kg di tortiglioni
1 lt di Besciamella
Parmigiano Reggiano grattugiato

Cuocete la pasta in abbondante acqua salata. Scolatela al dente (io di solito la scolo a due minuti prima del tempo indicato sulla confezione!),  conditela con il ragù, lasciando un po’ di ragù  da parte  e metà del Parmigiano Raggiano. Versatene metà in una pirofila e coprite con un bello strato di besciamella, versate il resto della pasta e copritela con il ragù , la besciamella e il Parmigiano rimasti.  Infornate a 200° C e quando avrà cominciato ad abbrustolirsi togliere dal forno , fare riposare qualche minuti e servire!!!




English version



Yesterday I promised you .... Today I would have posted what I did with the ragù sauce below!

But of course a great baked pasta! On Saturday I prepared 2 kg of this pasta our trip in the Countryside with dear friends, there hubby and I decided to subscribe to the Cabaret, as well as the renovation of the Theatre!
On Sunday evening, I prepared another kg of this delicious pasta for the meeting with my “cakes” friends .. But that's another story!
Needless to say, between Saturday (I had the Mexicandinner here “chez nous”), Sunday  in the Countryside and Monday the lunch with  ​​friends .... We ate by fed up ... but it was all too good .... We could not resist!

Ah ... .. GOOD WEEKEND. We are going to a wedding…a lot of food…AGAIN!!!!!


BAKED PASTA (MY WAY)

1 kg of tortiglioni
1 Ragù
1 liter of Bechamel
grated Parmigiano Reggiano

Cook the pasta in abundant salted water. Drain it “al dente” (I usually drain  pasta to two minutes before the time indicated on the packaging!), Season it with ragù  sauce, leaving a littleaside and half the Parmesan . Pour half into a baking dish and cover with a fine layer of white  bechamel sauce, pour the remaining pasta and cover with the ragù, bechamel  sauce and remaining Parmesan. Bake at 400°F and when it started to toast, remove from oven, let it rest a few minutes and serve!

giovedì 17 febbraio 2011

LA CUPOLA..E' SERVITA.... !!THE DOME IS ON THE TABLE!!!




                                                            Scroll down for English version


Cosa c'è sotto alla cupola??? Oggi è giovedì...e vi tocca lo "scherzetto" delle (St)renne di Carnevale...e se niente è come sembra sappiate che...la ricetta di oggi è l'unica che non vi aveva detto della mia festa di compleanno: una bella cupola di pasta sfoglia ...con all'interno...tanta buona pasta con ragù e tuma fresca!!! Buon appetito



CUPOLA DI PASTA AL FORNO TUMA E RAGU'

1 pasta sfoglia
1kg pasta mezze maniche
400 gr di tuma fresca (o un formaggio fresco tipo una caciotta)
150 gr Parmigiano Reggiano grattugiato

ragù: 2 bottiglie di passata di pomodoro Mutti
       500 gr carne macinata di vitello
       300 gr salsiccia ( o macinato di maiale più magro che grasso)
       1 cipolla media a tocchetti piccoli
       2 gambi di sedano a tocchetti piccoli
       2 carote a tocchetti piccoli
       1 cucchiaio di burro
       2 cucchiai olio EVO
       sale e pepe
       1 pizzico di noce moscata

Preparare il ragù, mettendo a soffriggere nell'olio e nel burro le carote, la cipolla e il sedano, dopo circa 10 minuti aggiungere le carni e faarle rosolare 5-10 minuti con sal e pepe. Aggiungere la salsa di pomodoro e mescolare bene. Far cuocere per circa due ore, aggiustare di sale e pepe.
Cuocere la pasta al dente e nel frattempo rivestire l'interno di una ciotola a forma di zuccotto grande con pellicola trasparente. Tagliare la tuma o il formaggio a tocchetti, scolare la pasta e condirla con tutto il ragù, il Parmigiano e la tuma. Versare tutta la pasta nella ciotola e pressare bene, coprire con altra pellicola trasparente e mettere da parte a raffreddare qualche ora. La si può preparare anche il giorno prima e conservare in frigorifero.
Togliere dal frigo, sformare la pasta su un piatto da forno , levare la pellicola trasparente e coprire con la sfoglia pressando bene e decorando a vostro piacere..infornare a 200°C per circa mezz'ora, o fino a quando la cupola di pasta sfoglia sarà ben dorata... servire tiepida!!!




English version

What's under the dome?? Today is Thursday ... and it's the day of the Carnival Reindeers' "trick" ... and if nothing is as it seems now I'm posting to you the only dish I didn't tell you about my last B'day party ... : a beautiful dome of puff pastry filled ... with a lot of good pasta with meat sauce and fresh tuma (that's a very good fresh Sicilian cheese...you can use a fresh Cheddar)! Bon appetite


 




BAKED PASTA UNDER A DOME!!

puff pastry 
1kg pasta mezze maniche (maccheroni are good too)
400 gr fresh tuma (you can use a fresh Cheddar)
150 g grated Parmigiano Reggiano

sauce: 2 bottles of tomato sauce
500 gr minced veal
300 gr sausage (or ground pork leaner than fat)
1 medium onion diced small
2 stalks celery, diced small
2 carrots, diced small
1 tablespoon butter
2 tablespoons oil EVO
salt and pepper
1 pinch nutmeg

Prepare the sauce,put in oil and butter the carrots, onion and celery, after about 10 minutes add the meat and cook 5-10 minutes with sal and pepper. Add the tomato sauce and mix well. Cook for about two hours, adjust salt and pepper.

Cook pasta "al dente" and in the meantime, coat the inside of a great bowl-shaped with plastic wrap. Cut the cheese into chunks, drain the pasta(two minutes before the time cooking) and season with all the meat sauce, Parmesan and Tuma. Put all the dough in the bowl and press down well, cover with more plastic wrap and set aside to cool a few hours. This can also be prepared the day before and refrigerate.
Remove from refrigerator, unmold the dough on a baking dish, remove plastic wrap and cover well and pressing the puff pastry .. bake at 400 ° F for about half an hour, or until the dome of puff pastry is golden. .. serve warm!